CIVITAVECCHIA – I Medici per l’Ambiente bocciano senza appello l’aumento dei limiti di emissione dell’ossido di carbonio per la centrale di Tvn consentito dalla nuova Autorizzazione Integrata Ambientale, evidenziando tutte le criticità in termini di patologie determinate dall’esposizione alla CO.
“Numerosi studi epidemiologici – afferma il Dottor Giovanni Ghirga – hanno messo in evidenza, ormai da molti anni, una associazione statisticamente significativa tra le concentrazioni atmosferiche medie di CO e l’aumento della mortalità totale e per cause cardiovascolari. La relazione tra l’esposizione all’Ossido di Carbonio (CO) e la mortalità è di tipo lineare, vale a dire che la mortalità aumenta in proporzione all’aumentare dei livelli di questo inquinante. In particolare, ad ogni aumento di 1 mg di CO per nm³ di aria, corrisponde un aumento dell’1 % della mortalità stessa. Studi epidemiologici recenti hanno evidenziato una forte correlazione (spesso maggiore di quella analoga riscontrata per il PM10) esistente tra le concentrazioni ambientali di CO ed i ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari, anche a basse concentrazioni ambientali di CO (1,2 – 5,6 ppm), suggerendo l’assenza di un livello soglia per l’inizio di questo effetto. Studi condotti nella città di Roma, nell’ambito del più vasto progetto europeo APHEA hanno rilevato, per il periodo 1995-1997, un’associazione significativa tra ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e livelli ambientali di CO. In particolare, per il CO l’effetto stimato sui ricoveri ospedalieri giornalieri per malattie ischemiche del miocardio è un aumento del 4% per incrementi della concentrazione ambientale di 1,0 mg/m3; l’aumento medio dei ricoveri ospedalieri per cause respiratorie, associato allo stesso incremento della concentrazione ambientale del gas, è del 2,5 % ed è di maggior entità nei bambini”.
Altri studi epidemiologici ed esposizioni controllate di volontari, secondo i Medici per l’ambiente hanno inoltre mostrato l’esistenza di categorie particolarmente a rischio. “Negli USA – prosegue Ghirga – la percentuale di ricoveri per cardiopatia ischemica, a parità di incremento delle concentrazioni ambientali di CO (1 ppm di incremento come media di 8 ore), è risultata essere maggiore nei soggetti con precedente diagnosi di scompenso cardiaco congestizio (incremento dei ricoveri del 3,60 %) e nei soggetti con precedente diagnosi di aritmia (incremento del 2,99 %) rispetto ai soggetti non cardiopatici (incremento di 1,62 %). Il gruppo a rischio rappresentato dai soggetti cardiopatici è particolarmente importante perché molto numeroso e con una prevalenza in continuo aumento. Sempre negli USA, ad esempio, la prevalenza dello scompenso cardiaco congestizio aumenta progressivamente con l’età ed è compresa nel range 0,1 – 9,8 %, con più di 3 milioni di soggetti affetti e 400.000 nuovi casi ogni anno (16). Il gruppo a rischio delle persone cardiopatiche rappresenta quindi un considerevole strato della popolazione e l’associazione osservata, anche a basse concentrazioni dell’inquinante, è di grado piuttosto elevato. Ciò determina un impatto complessivo sulla salute di notevole entità, sia in termini di mortalità che di morbilità”.
Di che tipo? “Il CO – va avanti ancora il Dottor Ghirga – può essere responsabile di diverse malformazioni cardiache nel neonato quando l’esposizione avviene al secondo mese di gravidanza.L’esposizione della donna in stato di gravidanza al CO aumenta il rischio di malformazioni del tubo neurale. Alti livelli di CO possono causare la perdita del feto se l’esposizione avviene poco prima del parto. L’innalzamento del valore limite del CO rende imperativa l’informazione alle donne del comprensorio di Civitavecchia in stato di gravidanza, dei rischi potenziali che verranno fatti correre al feto che hanno in grembo. Questa informazione è un obbligo, secondo la direttiva sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale (dir. 2003/4/CE). Il non rendere disponibili al pubblico tali informazioni rappresenta la violazione di un diritto sancito dalla Commissione Europea e riconosciuto dallo stato italiano (decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195)”.
“Questa pessima decisione di aumentare i limiti di emissione del CO è stata presa in un’area industriale che ha beneficiato solo recentemente (dalla fine del 1998) della riduzione delle emissioni derivante dalla ambientalizzazione delle centrali termoelettriche; tali emissioni ammontavano ancora nel 1997 a ben 52.812 t/a di ossidi di zolfo, 41.177 t/a di ossidi di azoto e 2.632 t/a di polveri (20). In questo comprensorio non si può escludere che le emissioni passate (oltre 50 anni di pesante inquinamento industriale) abbiano comportato un impatto sulla salute umana che non si è ancora completamente manifestato. Non solo la presenza di uno dei più grandi poli energetici, ma anche l’inquinamento legato ad una intenso traffico navale e stradale, ha contribuito nei decenni a compromettere lo stato di salute della popolazione locale. Infatti, i dati sulla salute stessa degli abitanti hanno ripetutamente confermato un eccesso di mortalità e morbilità per varie patologie potenzialmente riconducibili alla esposizione cronica all’inquinamento ambientale”.
Nel merito va ricordato come nel 2006 l’Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio ha messo in evidenza, nel comprensorio di Civitavecchia (riferimento anni 1997- 2004), un aumento della mortalità per cancro al polmone, alla pleura ed un aumento dei casi di asma infantile e di insufficienza renale cronica. Nel 2010, la stessa Agenzia regionale (riferimento anni 1996 – 2008) ha rilevato, tra gli uomini, una maggiore frequenza di persone ospedalizzate per malattie polmonari croniche. “Per le cause tumorali – sottolinea Ghirga – gli uomini presentavano un eccesso di mortalità per i tumori totali e, in particolare, per il tumore polmonare, della pleura e del tessuto linfoematopoietico. Tra le donne è stato osservato un eccesso di persone ricoverate per tumore alla mammella. La popolazione residente nel comune di Civitavecchia, nel periodo 2006-2010, presentava un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10% rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo e, l’analisi del ricorso alle cure ospedaliere, confermava sostanzialmente il quadro delineato dallo studio della mortalità”.