CIVITAVECCHIA – E’ stato consegnato al Consorzio per la Gestione dell’Osservatorio Ambientale il rapporto finale sui risultati della prima campagna di biomonitoraggio effettuata dal Decos (Dipartimento di Ecologia e Sviluppo Economico Sostenibile) dell’Università della Tuscia in virtù della convenzione stipulata con il Consorzio. I monitoraggi effettuati hanno interessato i terreni agricoli, la fascia costiera, i corsi d’acqua superficiali e la ricaduta al suolo dei metalli pesanti (tra cui l’arsenico) nell’area dei Comuni di Civitavecchia, Tarquinia, Tolfa, Allumiere e Santa Marinella. Tali analisi sono state effettuate mediante bioindicatori, ovvero delle specie particolarmente sensibili agli stress ambientali nelle quali è stato analizzato inoltre il valore del bioaccumulo dei metalli pesanti, che ha fornito risultati degni di attenzione in coincidenza con la riconversione a carbone di Torre Valdaliga Nord.
“I dati ricavati – spiega il Presidente dell’Osservatorio Manrico Coleine – rappresentano una fotografia inedita e fondamentale sullo stato di salute del nostro territorio che è interessato da decenni da diverse e rilevanti fonti di inquinamento e saranno preziosissimi soprattutto in futuro come termine di confronto con i risultati delle prossime campagne. Particolarmente importanti sono i dati del monitoraggio delle ricadute al suolo dei metalli pesanti, che le centraline della RQA (Rete Qualità dell’Aria) non rilevano, effettuato tramite l’installazione di 18 postazioni di bioaccumulo lichenico e seguendo un consolidato protocollo Anpa”.
Tuttavia da Coleine non arrivano stranamente nessun commento o né valutazioni sull’esito del biomonitoraggio, su cui era lecito attendersi in qualità di Presidente alcuni giudizi, in virtù delle considerazioni finali dello studio non proprio rassicuranti. Quali, infatti, le conclusioni? “Riferendoci quindi alla situazione attuale – si legge nel documento finale – i nostri risultati di mostrano una situazione dell’area in generale buona, con la maggior parte delle stazioni che ricadono nelle fasce di semi-naturalità e naturalità e nessuna zona di deserto lichenico. L’area di Tarquinia risulta la più disturbata, mentre andando verso i Monti della Tolfa si trovano i più alti valori di diversità lichenica. La presenza di specie nitrofile nell’area è probabile conseguenza della
vocazione agricola di gran parte del territorio, mentre la presenza di specie rare e tipiche di ambienti indisturbati consente di individuare aree boschive vetuste caratterizzate da elevata continuità ecologica. Per Civitavecchia non si sono potuti individuare forofiti idonei per il rilievo dell’IBL (Indice di biodiversità lichenica, ndr), ma si ipotizza una situazione almeno simile a quella di Tarquinia, considerando l’andamento del numero di specie licheniche, che decresce per entrambe le città andando dall’interno verso la costa. L’andamento opposto, ovvero in aumento andando dall’interno alla costa, è stato registrato per quanto riguarda l’eutrofizzazione. I risultati delle analisi degli elementi in traccia accumulati nei licheni sono in accordo con quelli dell’IBL, indicando che le stazioni in prossimità dei due centri urbani sono i siti in cui i licheni hanno accumulato la maggior quantità di inquinanti, mentre quelle situate sui monti della Tolfa sono
le meno interessate dai fenomeni di dispersione degli elementi in traccia”.
“Anche se le nostre osservazioni non hanno individuato casi di grave contaminazione – prosegue il documento – hanno comunque mostrato delle aree con concentrazioni relativamente elevate di alcuni elementi nei talli lichenici. Sebbene alcuni di questi elementi siano a bassa tossicità e di natura terrigena, altri, dovrebbero essere legati alle attività umane presenti nell’area di studio. Chiaramente, non fornendo questi dati una valutazione quantitativa delle concentrazioni in aria o dei tassi di deposizione, l’importanza di queste indagini risiede soprattutto nella possibilità di valutare l’entità delle deposizioni in termini comparativi effettuando il monitoraggio delle deposizioni negli anni futuri, ottenendo informazioni sulla loro eventuale variazione”.
Motivi per i quali gli studiosi che hanno redatto il report suggeriscono la ripetizione annuale del monitoraggio “per approfondire la conoscenza dei fenomeni in corso nell’area e l’incremento del numero di punti di campionamento per valutarne l’estensione e aumentare la precisione dell’informazione”.
“Questo studio – precisano infatti ulteriormente – rappresenta il ‘punto zero’ del monitoraggio degli eventuali effetti della recente conversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord. Ripetendo costantemente le indagini nel corso degli anni sarà possibile osservare l’impatto che questa modifica può avere sul territorio circostante la centrale”.
Il report è consultabile integralmente sul sito del consorzio www.ambientale.org .