Mentre siamo nel pieno della concitazione mediatica che sta veicolando costantemente la nostra attenzione verso l’Expo di Milano ho preferito fare un salto a Venezia ad inizio estate per visitare la Biennale d’arte che quest’anno procede un po’ in sordina. Probabilmente risente della schiacciante concorrenza milanese ma di certo non trova giovamento da un’impostazione concettuale che stavolta sembra concedere poco allo spettacolo ed alle visite più superficiali. Questione di gusti, sicuramente, e di sensibilità personali. La mia riluttanza alle code ed un rapporto controverso con il cibo non sono certo di per sé un volano in grado di lanciarmi come un razzo verso l’affollatissimo Expo dove, piuttosto, sarei curioso di ammirare gli allestimenti dei padiglioni dal punto di vista tecnico. Erano anni invece che desideravo tornare a Venezia per visitare la Biennale e la sola idea di fare nuovamente capolino dalla stazione di Santa Lucia per essere inondato delle luci calde e pittoriche dei canali è stata una molla incontenibile. Complice la stagione turistica ancora all’inizio e una situazione meteorologica ideale ai primi di giugno sono partito.
Detto fatto, mi imbarco sul vaporetto che procede barcollante sul Canal Grande con destinazione Arsenale e a momenti inciampo su Michelle Obama e tutta la sua scorta galleggiante, attesissima ospite del Guggenheim. Non si può stare un attimo tranquilli ma alla Biennale trovo quel che cerco: una luce splendente, aria fresca, poca gente e una serie infinita di allestimenti.
Ho sempre seguito l’arte contemporanea, peraltro con spirito molto critico: un amore che è nato durante gli studi universitari volutamente infarciti di esami sulla storia dell’arte e dell’architettura. L’interesse per le nuove tendenze si è rafforzato con la conoscenza diretta di Achille Bonito Oliva di cui sono stato allievo per breve tempo. Ma sia chiaro: per me che sono figlio di pittori la più geniale trovata concettuale non potrà mai competere con il valore aggiunto di un’esperienza manuale maturata negli anni. A mio parere l’arte contemporanea può avere l’ambizione di esprimere qualcosa di veramente valido a patto di soddisfare un paio di presupposti ineludibili: un’ottima idea di partenza e una buona trovata comunicativa. Se viene a mancare anche una sola di queste condizioni si rischia di scadere nella mediocrità o nella noia, come accade spesso. Va da sé che, con questa premessa, il mio giudizio è sempre piuttosto severo, anche nei confronti dei grandi nomi.
Ma non divaghiamo e concentriamoci sulla rassegna. La Biennale di Venezia, 56. Esposizione Internazionale d’Arte è curata dall’afro americano Okwui Enwezor ed è intitolata All the World’s Futures. La sua idea di partenza è stata quella di stimolare un’indagine sul rapporto fra arte e sviluppo umano, tra sociale e politico. Gli artisti hanno prodotto un intricato paesaggio visivo all’insegna della precarietà, dell’instabilità e di quel disagio tipico dei nostri tempi che affonda le sue radici negli sconvolgimenti del passato le cui cicatrici gli artisti ci chiamano oggi a toccare nei modi più diversificati. Una Biennale di Venezia sicuramente meno spettacolare di altre edizioni, più profonda e intimista ma non per questo meno interessante.
Ed allora ecco, secondo me, cinque buoni motivi per andare a visitarla, in base a quello che ho visto ed ai rumors più ricorrenti.
1 – Venezia: anche solo scorrere dal vaporetto le meravigliose architetture affacciate sul Canal Grande merita le tre ore di treno ed il costo della notte in albergo.
2 – il fitto programma espositivo: la rassegna quest’anno è articolata in una vera moltitudine di eventi che fanno da satelliti al corpus centrale tradizionalmente ubicato all’Arsenale ed ai Giardini: 89 padiglioni sparsi per tutta la città e 44 eventi collaterali. Una bella occasione per girarsi tutta Venezia e scoprire tante micromostre allestite in locations eccezionali, dalle strutture in disuso ai palazzi più celebri del Canal Grande. Informatevi prima sui padiglioni più validi, visto che sono così numerosi e non avrete mai il tempo di vederli tutti conviene partire bene informati.
3 – il padiglione iraniano: privilegiato da una sede espositiva isolata ma estremamente suggestiva, un ex rimessaggio per barche a motore a due passi dalla stazione ferroviaria, si presenta con un elevato standard qualitativo della proposta che risulta molto articolata: non é un caso se pensiamo al poderoso background culturale ed alle impellenti necessità comunicative dei suoi giovani artisti che provengono da realtà in forte mutamento. Mi è piaciuto tutto, dai video ipnotici alle sculture originali e divertenti, dalle foto incisive ai quadri raffinati e di grande impatto. Assolutamente da vedere.
4 – le proposte asiatiche e africane in genere: per lo stesso motivo del punto precedente ho trovato tante cose davvero molto belle tra gli artisti provenienti da questi continenti lontani. Stanno piacendo molto i padiglioni di Azerbaijan, Armenia e Ucraina. Gli asiatici, come sempre, eccellono nella videoarte e nelle installazioni. Bellissimo e poetico il padiglione giapponese ai Giardini, così come i video supertecnologici di Corea e Singapore. E’ il loro momento e guarda caso stanno riscuotendo i medesimi apprezzamenti anche all’Expo dove hanno fatto adottato le stesse strategie di comunicazione. Esempio di coerenza e compattezza.
6 – la punta di diamante: a detta di molti l’emozione più forte suscitata da questa edizione della Biennale è Vertigo Sea, la spettacolare videoproiezione multipla al numero 23 del Padiglione Centrale dei Giardini. Un racconto per immagini e parole sul rapporto conflittuale tra uomo e natura – e in fondo dell’uomo con se stesso – che punta dritto al cuore e allo stomaco. Un video mozzafiato per la grandiosità (anche fisica) delle immagini naturalistiche, distribuite su tre schermi giganti, e per la commozione indotta da alcuni passaggi sulla caccia ai cetacei. Imperdibile.
7 – altre belle cose: agli amanti della pittura consiglio il padiglione della Romania dove i quadri di Adrian Ghenie stupiscono per la loro bellezza e per la perizia tecnica dell’autore, a mio parere tra i quadri migliori dell’intera Biennale. Così come ho trovato molto bello quello finlandese dove la natura ( si poteva dubitare?) fa ancora da padrona con un’interessante ed efficacissima video installazione; all’interno del celebre padiglione di Alvar Alto è stato creato un buio totale, quasi cosmico, per veicolare la nostra attenzione su un filmato molto rallentato dalle atmosfere oniriche in grado di alterare la nostra percezione del tempo.
La Biennale 2015 è aperta fino al 22 novembre, ben oltre l’EXPO che chiude i battenti a ottobre. Questo è forse un motivo in più per programmare un bel viaggio in laguna. A voi la scelta.
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Michele Galice