Mangiare e degustare sono attività con finalità completamente diverse. La prima si identifica principalmente con il nutrimento, condizione essenziale per garantire il mantenimento e lo sviluppo della vita. Un’azione che può essere svolta in modo distratto, senza cioè che richieda particolari attenzioni e senza la consapevolezza di ciò che si sta introducendo in bocca.
Degustare un cibo, invece, significa, esattamente come per il vino, comprendere e analizzare le sue qualità organolettiche. Una attività sicuramente più complessa che esige attenzione e concentrazione per riconoscere e valutare le caratteristiche di ciò che stiamo assaggiando, attraverso l’aiuto dei nostri sensi: vista, olfatto, gusto,, tatto e non da ultimo, udito.Anche se non dobbiamo sottovalutare tutti gli altri, quello del gusto rappresenta una qualità sensoriale piuttosto articolata che ci consente di percepire i sapori fondamentali e gli aromi percepiti per via retro nasale. Il gusto infatti coinvolge anche l’olfatto, senza del quale diventerebbe difficile, per esempio, distinguere un’aranciata da una limonata. La teoria classica della fisiologia del gusto riconosce l’esistenza di quattro sapori fondamentali – dolce, salato, acido, amaro – ognuno dei quali è percepito con maggiore sensibilità in specifiche zone della lingua attraverso dei recettori, le cosiddette papille o bottoni gustativi.
In realtà, ai quattro sapori fondamentali a cui tutti siamo stati abituati, se ne aggiunge un quinto: l’umami. La sua scoperta si deve al Prof. Kikunae Ikeda che nel 1908, isolò per primo l’MSG e lo indicò come fonte di sapore di un brodo tipico giapponese a base di alghe Konbu.
I seguaci del prof. Ikeda approfondirono gli studi ed alcune loro scoperte portarono a rivedere la classificazione dei gusti. Nel 1920 prese così il via la moderna ricerca scientifica sul gusto, che culminò nel primo simposio internazionale avvenuto alle Hawaii nel 1985 in cui l’umami venne riconosciuto scientificamente come “gusto base”.
A differenza dei popoli orientali, che lo hanno da sempre identificato e utilizzato per valorizzare e condire i propri alimenti, come nel caso della salsa di soia, i popoli della cultura occidentale hanno ancora oggi, difficoltà ad avvertirne la presenza che risulta maggiormente percettibile nella complessità del gusto e viene registrata dal nostro palato come sensazione di estrema gradevolezza. Il responsabile principale del gusto umami è il glutammato monosodico – generalmente definito esaltatore di sapidità – tipico di carne, formaggi e di quasi tutti i cibi ricchi di proteine. E’ stato spesso considerato nocivo o causa di disturbi, come la cosiddetta sindrome da ristorante cinese, ma è una ipotesi priva di fondamento e senza nessun riscontro scientifico. Infatti, molti degli alimenti che consumiamo da sempre abitualmente, ne contengono in grandi quantità e non provocano nessun effetto negativo. Un esempio su tutti è la nostra beneamata pizza! Pomodori e mozzarella contengono glutammato in notevole misura.
Quando si tratta di vino, il significato di umami diventa polivalente. L’acido glutammico è uno degli aminoacidi più presenti nel mosto, ma nello stesso tempo è uno di quelli che tende a decrescere durante la fermentazione. E’ facile pensare che vini ottenuti da uve più mature e con un prolungato contatto con le bucce, siano più ricchi di umami. Agisce come un amplificatore del sapore, esaltando in maniera sinergica le componenti soprattutto fisiche e donando una sorta di tridimensionalità al vino che risulta così, non solo composto da elementi di durezza e di morbidezza, ma anche da una componente umami. Una componente che provoca la stimolazione della saliva, allerta i sensi tattili, e regala l’effetto dell’ “acquolina in bocca”. Così quando ci troviamo di fronte ad un cibo e un vino fortemente connotati dal gusto umami, come il parmigiano reggiano accostato ad un Brunelllo di Montalcino direi che siamo in presenza di uno degli abbinamenti più riusciti e appaganti.
E potremmo anche condividere il pensiero giapponese secondo il quale l’umami è il sapore che non si può descrivere, ma è sicuramente la cosa giusta per quel preciso momento