Quasi come un rito propiziatorio, ogni anno con il ritorno della stagione autunnale si celebra l’apertura di bottiglie di vino novello. Il déblocage della mezzanotte che prima si riferiva obbligatoriamente al 6 novembre, ora spesso anticipato al 30 ottobre, sancisce infatti l’inizio della commercializzazione della nuova annata. C’è però da fare chiarezza una volta per tutte su un concetto fondamentale: il vino novello non è il vino nuovo.
Anzi sarebbe meglio dire che il vino nuovo non è più il vino novello. E già perché il consumo del vino giovane era una tentazione già ai tempi di Columella quando lo si definiva “dolorie” e si custodiva nelle “celle vinarie” anziché nelle “apoteche” o “fumarie” per distinguerlo dal vino da invecchiamento. Un vino, per il quale però non esisteva un mercato importante così come noi lo intendiamo.
Il novello attuale nasce da una produzione particolare e molto differente dalla solita vinificazione. Il metodo fu oggetto di un esperimento ad opera di alcuni ricercatori francesi nel 1934 e prevedeva la conservazione di grappoli interi a bassa temperatura tenuti a contatto con anidride carbonica. Dopo un paio di mesi i grappoli erano diventati gassosi e frizzanti, gradevoli al gusto ma non più adatti alla commercializzazione. Furono quindi destinati alla vinificazione: ne uscì un vino dai profumi e sapori decisamente diversi, ma molto piacevole. Fu l’inizio della vinificazione a macerazione carbonica dei grappoli interi non pigiadiraspati con la quale si ottiene questa particolare tipologia di vino. In pratica si riempie di uva un contenitore saturo di anidride carbonica lasciandolo ermeticamente chiuso per un periodo variabile dai 7 ai 18 giorni ad una temperatura di circa 30° C. Questa tecnica determina la formazione di un sistema bifase in cui si svolgono fenomeni di fermentazione anaerobica. Infatti, da un lato, in totale assenza di ossigeno, le cellule intatte dell’uva intera sono costrette a modificare il loro metabolismo, effettuando un tipo di fermentazione intracellulare a carico degli zuccheri e dell’acido malico che viene degradato ad acido piruvico, ad aldeide acetica ed infine ad alcol etilico. Dall’altro lo schiacciamento progressivo dell’uva sotto il proprio peso, facilita l’indebolimento della buccia che libera gradualmente il mosto che, grazie alla presenza dei lieviti indigeni, inizia a fermentare. Il processo determina la formazione di componenti odorosi che ricordano la fragola e il lampone e un maggiore cedimento di colore. Il vino ottenuto sarà fresco, fruttato, abbastanza leggero e con un colore rosso brillante.
I primi vignaioli che produssero tale vino erano del Beauiolais, regione centrale della Francia: da qui il nome del nuovo vino. In Italia venne introdotto soltanto nel 1975 da Giacomo Tachis, allora enologo dei Marchesi Antinori:
Ma dall’antesignano Beaujolais, il novello italiano si discosta nettamente. La grande differenza sta nella localizzazione, nel tipo di uve usate e nella presenza in percentuale del vino ottenuto con macerazione carbonica.
Il Beaujolais viene prodotto nella omonima zona a nord di Lione e utilizzando un solo tipo di uva a bacca rossa, il Gamay vinificata al 100% a macerazione carbonica. In Italia invece il novello può essere prodotto dal nord al sud, impiegando diverse uve, preferibilmente dal basso contenuto zuccherino, e dal minor apporto di tannini come Aglianico, Cannonau, Barbera, Merlot, Nero d’Avola, Corvina, Refosco, Cabernet Sauvignon, Sangiovese. La legge del 6 ottobre del 1989 impone inoltre di utilizzare almeno il 30% di vino ottenuto con la tecnica di macerazione carbonica dell’uva intera, e aggiungendo poi vino “normale”, anche di annate precedenti.
Le caratteristiche organolettiche del vino novello, catturano senza indugio anche chi non si configura tra gli enoappassionati più tenaci. La vivacità cromatica, la freschezza e l’immediatezza delle sue note fruttate, a volte la briosità e una leggera traccia di residuo zuccherino lo rendono una bevanda di facile approccio e di grande appeal. Un “vino giovane” al quale si può senz’altro attribuire quel ruolo simbolico di primo momento dell’anno di aggregazione intorno al culto di Bacco. Un protagonista privilegiato e nobile accompagnatore di altri prodotti stagionali, in numerose manifestazioni enogastronomiche che si svolgono in questo periodo su tutto il territorio nazionale.
Maria Cristina Ciaffi