CIVITAVECCHIA – Lettera in Redazione di Emanuele La Rosa:
“Ho letto sui giornali che l’assegnazione delle supplenze è stata e sarà decisa tramite un algoritmo. Può sembrare un’innovazione, ma per me che lavoro nel software da oltre vent’anni è difficile non nutrire alcune perplessità a riguardo. I dubbi principali riguardano la trasparenza della Pubblica Amministrazione, quindi non si può prendere sottogamba la questione.
Come prima cosa, però, cerchiamo di essere precisi; non è un algoritmo che prende le decisioni, ma la sua implementazione software. Un algoritmo è una procedura astratta, la sua implementazione è la sua traduzione in un linguaggio comprensibile ai computer. Succede di sovente che durante la scrittura del codice vengono fatti degli errori da parte degli sviluppatori che vanno ricercati con svariate sessioni di test. D’altronde, stesso algoritmo, inoltre, non viene calato dall’alto ma ci sono dei requisiti che devono essere soddisfatti. Ossia, prima si stabilisce “cosa” si vuole fare specificando i requisiti del software, poi il “come” specificando gli algoritmi. In queste fasi possono nascere degli errori che rischiano di investire la vita dei cittadini.
Forse sono stato poco attento e sono io a sbagliare, ma nel caso dell’assegnazione delle supplenze ho visto parecchia confusione. Capisco, che la questione delle supplenze riguardi poche persone e la questione possa annoiare, ma non bisogna essere degli indovini per assumere che nel futuro sempre più operazioni con la P.A. saranno svolte tramite programmi informatici. Se si tratta di inoltrare una pratica ad un ufficio non ci sono grandi problemi, ma laddove questi programmi dovessero decidere un punteggio ad un concorso pubblico, l’assegnazione di un bene pubblico o l’ordine di una qualunque lista d’attesa, i cittadini hanno il diritto di sapere con quali criteri vengono effettuate queste scelte. Un programma chiuso non garantisce questa trasparenza, per questa ragione è bene che la Pubblica Amministrazione rilasci i documenti di progetto e i sorgenti. Adesso, capisco l’obiezione che un cittadino non abbia né il tempo, né le competenze per studiare documentazione e software, ma esiste una comunità di sviluppatori che è in grado di farlo e opera da anni nel ramo del software open source. Se un software investe la vita di molte persone, non ho dubbi che ci sarà anche chi vorrà buttarci un occhio dentro. Per esempio, immagino che in questo caso ci siano professori precari d’informatica che sono curiosi di sapere come gli vengono assegnate le supplenze annuali.
Come ha scritto Richard Stallman, il padre del software aperto, “se gli utenti non controllano i programmi, quest’ultimi controllano gli utenti”. Questo rischio può essere accettabile quando si usa un programma proprietario, molto meno quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione”.
Emanuele La Rosa