ROMA – E’ stato presentato ieri, nella Capitale e nelle principali città italiane, il XX Rapporto sull’Immigrazione di Caritas/Migrantes “Dossier 1991-2010: per una cultura dell’altro”.
Il dato che, per primo, salta all’occhio è quello numerico: al 31 dicembre 2009 la popolazione immigrata residente contava 4 milioni 235 mila persone regolarmente presenti nel nostro paese. Una bella fetta d’Italia, dunque, che arriva a quasi 5 milioni netti se si conteggiano anche i residenti non ancora iscritti agli uffici di anagrafe. Con un aumento di 3 milioni in 3 anni, siamo oggi in una situazione in cui nel nostro Paese c’è un immigrato ogni 12 residenti. In alcune province italiane, l’incidenza degli immigrati rappresenta oltre il 13% sulla popolazione totale e, in tutto il Paese, i nuovi nati da genitori entrambi stranieri costituiscono il 16,5% ed è ancora più alta la percentuale di bambini nati da un solo genitore immigrato.
Sono dati che fanno riflettere, perché l’attenzione che lo Stato italiano mostra a queste persone sembra ancora troppo poca, in confronto all’effetto benefico della loro presenza tra noi, e soprattutto se paragonata al sempre crescente clima di ostilità tra gli italiani, che confondono troppo spesso l’immigrato con il delinquente.
Come spiegato da Franco Pittau, coordinatore del Dossier, l’immigrazione svolge un ruolo estremamente benefico: “Rimedia alla carenza di manodopera italiana in vari settori produttivi – dice – risolleva l’andamento demografico del paese (da tempo tra quelli a più bassa natalità), in più crea posti di lavoro, visto che ben un imprenditore ogni 30 è immigrato. L’attività dei circa 2 milioni di lavoratori immigrati, infatti, contribuisce per l’11,1% al Pil nostrano. Non solo: ogni anno, essi versano circa 7,5 miliardi di contributi previdenziali, concorrendo alla solidità dell’Inps, dei quali però usufruiscono ancora solo per il 2,2%, vista la loro giovane età media”.
La presenza regolare e, per esser chiari, fatta da persone oneste che lavorano è di gran lunga una realtà più grande di quella formata dagli immigrati che commettono i reati con i quali i media ci bombardano di continuo. Eppure, complice un’informazione parziale e motivazioni politiche altrettanto parziali, quando si pensa all’immigrato lo si associa più facilmente al rapinatore e allo stupratore che non alla mamma che paga le tasse e pulisce le scale, all’agricoltore, alla babysitter, ai ricercatori o ai bambini che arricchiscono le nostre scuole con la loro cultura.
Questo dal punto di vista della percezione sociale. Ma la situazione non è certo più rosea se la si analizza dal punto di vista economico–politico. Non esiste uno stanziamento statale economico ad hoc, non c’è il voto amministrativo e non è prevista la possibilità di partecipazione ai governi locali delle realtà dove questi immigrati vivono. In pratica, mancano veri e propri diritti politici e civili per persone che, come tutti noi, lavorano, producono e pagano tasse.
Ciò che, come auspicato dal rapporto, il Governo italiano dovrebbe creare è la premessa per una vera integrazione, dato che il multiculturalismo è ormai un dato di fatto in Italia, divenuta ufficialmente Paese di immigrazione. E questa premessa non può prescindere da politiche apposite, economiche ma anche sociali e culturali, che si concentrino sul dialogo come strumento di conoscenza reciproca e di dissipazione dei timori.
Va detto che il Ministro Sacconi, lo scorso giugno, ha varato, all’interno del celebre “Pacchetto sicurezza”, un Piano per l’integrazione chiamato “Identità ed incontro”. Esso prevede cinque campi principali dove lavorare per pervenire ad una reale e proficua integrazione tra italiani ed immigrati: la scuola, il lavoro, l’alloggio (inteso come modo per evitare le ghettizzazioni foriere di chiusura e criminalità), l’accesso ai servizi essenziali ed i minori intesi come seconde generazioni. L’iter di tutto il provvedimento, ossia l’implementazione di tutte le norme previste dal pacchetto, dovrebbe concludersi entro gennaio prossimo: sarà, allora, l’occasione per fare di nuovo il punto sullo stato dell’integrazione in Italia.