Non è vero ma ci credo

venerdì 17Cornetti rossi, ferri di cavallo, gobbi e gobbetti, corna e coccinelle, occhi e cristalli, scongiuri e anatemi oggi vengono tolti dal baule della nonna in soffitta, spolverati e indossati, ben nascosti per non tradire le apparenze, ma tenuti stretti o invocati mentalmente per sfuggire alla malasorte. Oggi è venerdì 17, la giornata più temuta dai superstiziosi, ma anche quelli che non ci credono oggi faranno sicuramente più attenzione degli altri giorni a non rompere specchi, a non passare sotto le scale ed a cambiare itinerario se un gatto nero gli attraversa la strada perché, come diceva già Benedetto Croce: “non è vero, ma ci credo”. E proprio alla filosofia del “mah, non si sa mai”, fanno appello tutte quelle superstizioni legate alla giornata nefasta di venerdì 17. Ma perché si dice che porti così male? Nella Smorfia napoletana il 17 è “la disgrazia”, principalmente è una credenza popolare, ma come tale deve avere per forza un fondo di verità che, filologicamente, possiamo far risalire a diverse considerazioni storico-antropologiche. In primis all’aspetto numerico della data: 17, in numero romano XVII, che anagrammato diventa VIXI, ovvero, in latino, un verbo al tempo perfetto che tradotto in italiano significa “vissi”, “sono vissuto” e che lascia presagire che adesso non si stia più vivendo, quindi è un presagio di morte. Già il numero in sé per gli scaramantici è fonte di disagio e sventolamento di corni e cornetti, e ne hanno ben d’onde se ci soffermiamo sugli eventi negativi che vantano questa data. La battaglia della Foresta di Teutoburgo nell’anno 9 d.C, in cui furono annientate tre intere legioni: la XVII, la XVIII e la XIX, fu un episodio che creò enorme turbamento a Roma e la cui eco rimase a lungo nel mondo romano. Ma non finisce qui, infatti, secondo l’Antico Testamento, il diluvio universale iniziò il 17° giorno del secondo mese, e si concluse il 17° giorno del settimo mese. Secondo i Pitagorici il 17 era un numero misero, fermo tra la perfezione del 16 e del 18, rappresentazione dei quadrilateri 4×4 e 3×6. La Rivoluzione Francese avvenne sotto il regno di Luigi XVII e, nel 1795, morì  malato e cagionevole, nella prigione del Tempio che fu, in precedenza, un luogo caro ai Templari. Ed è proprio il tragico sterminio dei Templari, ordinato da Filippo il Bello un venerdì di ottobre del 1307 per impadronirsi delle loro ricchezze e annullare in tal modo i debiti dello Stato verso l’Ordine dei Templari, a stigmatizzare il giorno 13 come portatore di sventura in alcuni paesi, creando una vera e propria fobia di quella data, chiamata “paraskavedekatriafobia”. Ma 13 era anche il numero dei commensali dell’Ultima cena: 12 apostoli più Gesù. Venerdì è il giorno della Crocefissione di Gesù. L’uomo ha sempre creato connessioni tra eventi e conseguenze, per dare risposte a domande che, se rimaste in sospeso, avrebbero gettato tutti nell’incertezza e, dunque, nella paura. Per vivere ed evolversi l’uomo ha ritualizzato queste connessioni create tra gli eventi,  dedicando loro un tempo e uno spazio, per viverle e ricordarle quando è il momento e, così facendo, governarle ed esorcizzarle il resto del tempo. Naturalmente il fatto che per popoli e culture diverse siano diversi anche i giorni nefasti o fasti, spiega ancora meglio che la superstizione non è sinonimo di ignoranza, quanto invece di retaggio culturale popolare. L’impossibilità che un popolo abbia una storia pressochè identica ad un altro spiega perché in certi luoghi porta male il venerdì 17 e in alcuni altri il 13. In Giappone per esempio porta sventura il numero 4 perché, benché si scriva diversamente, il numero, che si pronuncia “shi”, ha la medesima pronuncia dell’ideogramma usato per rappresentare la morte. Ci sono poi  superstizioni universali che attingono ad un bacino archetipico culturale universalmente condiviso. Che siate superstiziosi o meno, ricordatevi il detto “Né di Venere né di Marte, non si sposa non si parte, né si da principio all’arte”, intendendo che è meglio astenersi dal fare cose impegnative col rischio poi di pagarne le conseguenze, e, nel dubbio, rimandate a domani gli appuntamenti importanti.

Francesca Ivol