TARQUINIA – Dopo 2700 anni gli archeologi hanno rimosso la lastra di pietra che chiudeva l’accesso a una camera secondaria nella Necropoli etrusca di Tarquinia. Il ritrovamento è avvenuto durante la quarta campagna di scavo dell’Università degli Studi di Torino, della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e della Città di Tarquinia, in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.
Gli archeologi, impegnati nella quarta campagna di scavi del Tumulo della Regina, hanno scoperto l’esistenza di questa camera secondaria ancora sigillata da una grande lastra di pietra, rimossa nella giornata del 12 agosto scorso. Nei prossimi giorni verranno effettuate accurate indagini degli ambienti interni, appena riaperti alla luce, di cui si possono al momento rilevare tracce del raro intonaco originario e di materiale archeologico.
Il Tumulo della Regina è un’imponente struttura architettonica del diametro di circa 40 metri, pertinente a un personaggio di spicco all’interno della comunità tarquiniese del VII secolo a.C., di rango aristocratico e di ruolo probabilmente regale, vicino alla figura dei re etruschi, definiti dalle fonti antiche “lucumoni”. Questo sepolcro si è rivelato come la più grande struttura a tumulo di Tarquinia finora nota.
Il Tumulo della Regina si ispira a una tipologia di tombe reali che si ritrova soltanto in un altro ambito del Mediterraneo: nella Cipro di cultura omerica. In particolare, nella necropoli regale di Salamina, sito archeologico dell’area sud-orientale dell’isola, sono presenti tombe con ricchissimi corredi funebri confrontabili direttamente con quelle di Tarquinia, accostabili sia per le grandi dimensioni dell’ingresso che per il tumulo. E’ molto probabile che all’origine di questo modello introdotto in Italia centrale ci siano proprio architetti di formazione orientale sbarcati a Tarquinia circa 2700 anni fa, che qui avrebbero introdotto innovativi modelli architettonici.
Le ricerche – condotte a partire dal 2008 dall’Università degli Studi di Torino, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale e dalla città di Tarquinia, dirette sul campo da Alessandro Mandolesi – hanno rivelato la presenza, nella parte anteriore del sepolcro, di un largo accesso praticabile, probabilmente coperto in origine da una grande tettoia, utilizzato per le celebrazioni in omaggio al nobile defunto.
Durante la campagna di scavo del 2010 sono stati scoperti, in questo ambiente, i resti di un rarissimo intonaco in gesso alabastrino, secondo una modalità nota nel Vicino-Oriente (Cipro, Egitto, area siro-palestinese). Si tratta di un esempio di rivestimento murario, finora sconosciuto in Italia, presumibilmente realizzato da maestranze specializzate provenienti dal Levante mediterraneo.
Ma le sorprese non sono finite: in alcuni punti sono emerse tracce di decorazioni dipinte rappresentate, allo stato attuale, da una larga fascia rossa che doveva svilupparsi sui tre lati dell’ingresso, al di sotto e al di sopra della quale si individuano delle raffigurazioni di probabile significato religioso. Fra queste, una figura di difficile lettura disegnata con contorno in rosso e campita in nero. La corposa immagine ha un evidente andamento sinuoso che la avvicina a motivi vegetali o animali del repertorio orientalizzante. Nella parte bassa si sono invece riconosciuti un unguentario di tipo corinzio e forse la mano di un personaggio. L’importanza di questo intonaco dipinto ha reso necessario l’intervento dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.