“Thom Pain (Based on Nothing)”. Basato sul niente. Così ci avverte, in un sottotitolo che non lascia adito a dubbi, Will Eno, autore di questo one-man show sui generis, che mira dritto al cuore di ogni convenzione, anche quella più banale basata sulla mutua relazione tra attore e spettatore. Americano di Brooklyn, cresciuto a pane e Edward Albee (ma anche Samuel Beckett), Eno si è già portato a casa moltissimi premi tra cui, per questo suo monologo, una nomination al Pulitzer e il fortunato Fringe Award, trampolino d’eccezione del più fervente teatro britannico. ‘State per assistere’ – sembra dirci l’autore – ‘a settantacinque minuti di nulla.’ E in effetti così sembra, quando la scena si apre su un teatro vuoto, buio, nessun tecnico a dare le luci di sala… solo una figura minuta, seduta su una sedia, di cui è intravedibile giusto la sagoma, intento a leggere su un dizionario una ‘indefinibile definizione’ di paura. Di atti mancati, frasi a metà, schizofreniche virate da un discorso all’altro, spiazzamenti senza senso, Thom Pain ne fa’ abuso: giusto il tempo per lanciare una frecciata che miri dritto ai nervi più esposti, o per farci interessare quanto basta alla storia di un bambino vestito da Tex Willer e del suo cane fulminato da un cavo elettrico, ed ecco che tutto svanisce: il gioco di prestigio si risolve in una soffiata di naso. E il pubblico? Non che Pain lo dimentichi; semmai lo odia, lo ama, lo distrugge e lo coccola, lo mette di fronte a un fatto compiuto: quel nulla che si agita su di un palco vuoto siete voi. Siamo noi, noi tutti con le nostre schizoidi e pervertite nevrosi quotidiane. E per chi non fosse ancora convinto, Thom Pain lo aiuterà nella comprensione: portando uno spettatore qualunque, ignaro e reticente, sul palco, facendolo sedere su un’anonima sedia di legno e poi lasciandolo lì, solo nel suo niente, fino a farlo sparire in un’altra magia mal riuscita. Ad inscenare questo teatro dell’assurdo, in una versione italiana dalla sorprendente credibilità, uno straordinario Elio Germano: interprete pluripremiato al cinema, Germano si rivela bravissimo anche a teatro. Proprio in un testo come questo, basato su un’interpretazione che, per essere credibile, deve liberarsi di ogni sovrastruttura, di ogni maniera, di ogni ‘appoggio’ ad una tecnica rodata per ristabilire faticosamente una relazione autentica ed empatica con lo spettatore. Germano costruisce un’interpretazione vivida e naturalissima, risultando insieme ironico e caustico, commovente e violento, insopportabile ed irresistibile. Il suo Thom seduce e spaventa, offende ma poi ci riconquista con un umorismo british al vetriolo, credibilissimo non solo nei panni di un americano border-line, ma anche se pensato come un italiano di oggi, degno esponente di quest’era della crisi da tubo catodico. Una volta dimenticata ogni esigenza narrativa, e presa dimestichezza con questo cinico flusso di coscienza, Thom potrebbe diventare davvero il nostro migliore amico. O il nostro specchio. Basta lasciarsi andare a questa ora e mezza di niente, ma un niente densissimo e senza scampo.
Francesca Montanino