Dolci colline vulcaniche che degradano fino al mare da cui sembrerebbe derivare la denominazione storica della regione: la Planargia. Un ambito geografico spettacolare, per gran parte ancora incontaminato, che si estende nella parte nord occidentale della Sardegna. Uno straordinario ambiente naturale che deve la sua unicità al fatto che in una piccola porzione di territorio siano rappresentati quasi tutti gli ecosistemi caratteristici dell’isola, da quello marino a quello costiero, da quello montano a quello fluviale navigabile. Un luogo dove il calore e il sorriso della gente, il fascino antico delle tradizioni e delle feste popolari, la gustosa bontà delle specialità gastronomiche e i profumi della generosa Malvasia di Bosa ne rendono la vita particolarmente attraente.
La Malvasia di Bosa è un vino storico, apprezzato dall’enologia internazionale e lodato dai più famosi giornalisti a partire da Mario Soldati e Luigi Veronelli che negli anni ‘70 gli dedicarono pagine d’alto pregio, pur sottolineandone la sua limitata disponibilità in grado di soddisfare il solo consumo locale.
Appartiene al gruppo delle Malvasie, una grande famiglia di vitigni coltivati su tutto il territorio della penisola italiana e in quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Diciassette varietà di uve identificate dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto dopo accurate analisi ampelografiche, chimiche e molecolari, che hanno in comune l’origine greca e l’etimologia del nome che deriva da una piccola cittadina del Peloponneso: Mononvasos ossia porto con una sola entrata. Ed è proprio attraverso i porti che i Veneziani e, in misura minore i Genovesi, diffusero le diverse piante. Tra il 1300 e il 1600, al culmine della potenza economica della Serenissima, la Malvasia divenne il vino più famoso d’Europa, una vera moda che lo trasformò in sinonimo di eccellenza. Ancora più antica la diffusione in Sardegna, che si fa risalire al periodo bizantino. In particolare nell’entroterra di Bosa già tra il VI e i X secolo si creò una vera e propria enclave della coltivazione di questa uva, diventando poi un classico della produzione enologica dell’isola. Dall’800 fino alla metà del 900 è il vino dei salotti buoni della Bosa industriale, che va acquistando sempre più rinomanza e finezza nella qualità, grazie alle sperimentate colture più idonee e al metodo di invecchiamento del vino, che avveniva nei caratteristici magazinos seminterrati del centro storico della città. La svolta decisiva arriva nel 1972, anno in cui l’ormai patriarca Giovanni Battista Columbu (uno dei produttori protagonisti in “Mondovino” imperdibile film-documentario del 2004 di Jonathan Nossiter) eredita un vigneto di circa 18000 mq coltivati con vitigni tradizionali da oltre un secolo. Negli anni immediatamente successivi, egli da inizio ad un primo reimpianto della vigna, sostituendo i ceppi centenari e incrementando gli innesti del vitigno di malvasia originario, intuendo l’importanza della selezione del vitigno e degli impianti a monocoltura e sperimentando inoltre l’imbottigliamento per la commercializzazione del prodotto. Studio e ricerca che porteranno al riconoscimento di una delle DOC italiane più ricche di fascino. Un vino particolarissimo, frutto di un lungo invecchiamento e di una iperossidazione controllata, che regala un colore dorato con riflessi ambrati e profumi intensi di frutta secca e spezie. Tanti i progetti promossi dalle Istituzioni locali finalizzati alla valorizzazione del prodotto. Tra questi il più importante è il progetto Vinest, iniziativa cofinanziata dall’Unione Europea per la promozione dei vini di qualità DOC dell’Europa, al fine di tutelarne e valorizzarne le varietà e le peculiarità insieme con i loro territori e culture.
“custu binu cheret chistionadu” si usa dire in loco che vuol dire letteralmente “questo vino vuole parlato”. La Malvasia di Bosa è infatti un vino che ha maturato una vasta letteratura remota e recente, ma soprattutto è un vino considerato nobile ed elitario dalle genti che abitano la Planargia. Un nettare da riservare a persone e circostanze speciali, perpetuando in questo modo un consolidato rituale sociale. Un vino simbolo dell’amicizia e dell’ospitalità, che si offre alle persone a cui si tiene particolarmente, quindi, in questa regione, è principalmente un bene sociale. Un legame unico e autentico tra uomo e territorio