CIVITAVECCHIA – “La palazzina dove vive Cenerentola si trova nel centro di Rodìo Miliciò, un paesino del sud della Sicilia, circondato da cave di tufo e alberi di melograno. La palazzina era di un vecchio barone decaduto, padre di Cenerentola, che rimasto vedovo si era risposato con la sua donna di servizio, Ignazia, madre di due figlie Genoveffa e Anastasia. Alla morte del padre Cenerentola era stata defraudata di tutti i suoi averi, cacciata persino dalla sua stanza da letto e segregata dalla matrigna in uno sgabuzzino buio e angusto…? Cenerentola non se lo ricorda più il suo vero nome, ?troppo tempo è passato da quando suo padre la chiamava: picciridda mia…”
Così la regista Emma Dante riscrive l’incipit di una delle fiabe più note di sempre, ricollocando l’universo immaginario (e già di per se oscuro) della Cenerentola di Perrault nella sua Sicilia brulla e ancestrale. Nell’immaginare la sua prima favola per il teatro (che oggi è anche un libro, edito da Baldini&Castoldi) la Dante sceglie di rileggere, ovviamente a modo suo, un classico della letteratura per l’infanzia, rintracciando nella fiaba di Cenerentola lo spunto ideale per affrontare in una chiave nuova quelle tematiche e ossessioni che affollano il suo teatro: il conflitto tra apparenza ed essenza ad esempio, e la smitizzazione dei falsi eroi. La Dante costruisce il suo racconto “Cenerentola, Anastasia e Genoveffa” attraverso un’ articolata scrittura scenica che riesce a incantare (e per certi versi a inquietare) grandi e piccini. Lo suggerisce lei stessa, riconoscendo nel pubblico ideale del suo racconto dark tanto i bambini quanto gli adulti. E il direttore del Traiano Quartullo accoglie in pieno il suggerimento, duplicando lo spettacolo – andato in scena in due repliche il 19 febbraio – nella stagione per l’infanzia e in quella dedicata alle nuove creatività. Certo, resta un po’ bizzarro vedere collocata nelle ‘nuove’ proposte proprio Emma Dante, regista di punta del teatro italiano (ormai non solo di sperimentazione), nota anche al grande pubblico per la regia della controversa “Carmen” che inaugurò La Scala di Milano la scorsa stagione. E neanche al pubblico nostrano il nome della regista deve risultare del tutto sconosciuto: il suo “Mpalermu” era transitato nel cartellone del Traiano diverse stagioni orsono.
Il teatro della Dante vive di ossimori, e proprio in queste opposizioni semantiche, in questi conflitti insanabili sta la sua incredibile forza: un teatro crudo eppure dolcissimo, crudele e carico di ‘pietas’, politico e anarchico. Pur riconoscendo lei stessa in questa fuga temporanea nella fiaba una liberazione necessaria – che si prolunga peraltro quest’anno con due nuove produzioni, “Gli alti e i bassi di Biancaneve” e il recentissimo studio “Per guardarti meglio”, rilettura ‘sui generis’ di una “Cappuccetto Rosso” come durissima metafora della pedofilia – la sua cifra stilistica resta un marchio inconfondibile. Così queste sorellastre, mediterranee e ‘nervose’, masticano un dialetto carnale e viscerale tra le mura di casa per poi vestirsi di una lingua affettata e innaturale nelle occasioni di incontro ‘pubblico’. E se quella matrigna finta e ingessata sembra fare di tutto per insegnare alle figlie a ‘salvare le apparenze’, quella fata sghemba, quasi deforme, è ben lontana dalla rubiconda fatina da cartone animato. Tutti si mascherano in questo universo senza eroi, tutti sembrano ciò che non sono, rivelano una doppia (anche tripla) faccia, dietro quegli strati di costumi che affollano la scena. Tutti, tranne Cenerentola, che non ha niente da nascondere: quella della Dante non è la fanciulla bionda ed eterea dell’immaginario disneyano, ma una donna normale, senza fronzoli, dolce ma anche risoluta. La Dante costruisce così una favola ‘nuda e cruda’, poco incline a quell’illusionismo da ‘effetti speciali’ che ha contaminato molto teatro dell’infanzia per adattarlo alle abitudini di una fruizione televisiva; la sua “Cenerentola” è costruita attraverso una narrazione scenica primitiva, di cui è facile svelare i “trucchi”, ma non per questo meno affascinante, specie per il pubblico più giovane, molto più avvezzo ad ‘accettare’ le regole del gioco e a lasciarvisi trasportare. Magari portandosi anche un messaggio su cui riflettere, validissimo per i più piccoli ma tanto più per gli adulti: “Sii te stesso, senza maschere, senza conformismi”.
Francesca Montanino