Lillo e Greg novelli James Bond, ma con poca fantasia

lillo e gregCIVITAVECCHIA – Siete mai riusciti a seguire nel dettaglio la trama di un film d’azione, di una spy story hollywoodiana o di uno di quei thriller labirintici alla “Codice da Vinci”? O, piuttosto, tendete a perdervi, tra uno ‘spara-spara’ e l’altro, in quel garbuglio di nomi in codice, numeri e percorsi intricati, tanto che quando vi chiedono ‘di cosa parlava il film’ fate fatica a rispondere? Nel loro ultimo spettacolo, presentato ieri al Traiano (inspiegabilmente)  nel cartellone dedicato alle “nuove creatività”, Lillo e Greg hanno fatto incetta di questa cinematografia di genere, per rovesciarla con il loro umorismo un po’ British e un po’ demenziale, tenero e caustico allo stesso tempo. “L’uomo che non capiva troppo” è una spy story alla maniera ‘de noaltri’, o meglio dal marchio inconfondibile di Claudio Gregori (alias Greg) e Pasquale Petrolo (Lillo) . Hitchcock non se ne abbia a male, se gli si storpia il titolo: è ai vari James Bond e alle innumerevoli  ‘Missions Impossible’ che la comicità di Lillo e Greg punta, per dare vita ad un prodotto per il teatro che strizza l’occhio alla televisione e alla radio, linguaggi con cui il nostro duo si trova perfettamente a suo agio, e nei quali il grande pubblico li identifica. Questa stessa pièce è infatti tratta da una serie radiofonica portata al successo dal duo recentemente all’interno della trasmissione “610”: al centro del ‘complotto’ c’è un uomo qualunque (Lillo), un geometra impigrito e lobotomizzato dal tubo catodico, convinto di avere accanto una moglie ‘appesantita’ da vent’anni di matrimonio e un miglior amico (Greg), uomo d’affari dedito al lavoro. Ma niente è come sembra: una vita tranquilla può rivelarsi la più ‘terribile’ delle avventure e, anche uno non proprio sveglio come Lillo, dovrà rendersi conto della realtà dei fatti. Tanto sua moglie che l’amico di sempre infatti, sono agenti segreti da anni sulle tracce di una terribile setta che vuole dominare il mondo ‘inebetendo’ gli esseri umani a suon di musica trash. Suo malgrado, e assolutamente a sua insaputa, Lillo è il detentore del tanto ambito scettro del potere, un dente di elefante capace di diffondere le orribili melodie. Tra gag (solo talvolta) esilaranti, continui ribaltamenti degli stereotipi di genere, uso e abuso di video e green screen, la commedia procede con ritmo televisivo, assemblata e ricucita in una serie di sketch che ricordano i vari “scary movie” hollywoodiani, a cui assomiglia anche per scarsezza di idee. Non ci si accusi di conservatorismo, se diciamo che questo non è teatro: ben vengano gli esperimenti, le contaminazioni di genere, anche nutrite di richiami alla cultura pop e costruite su linguaggi largamente condivisi. Ma il difetto di questa operazione sta a nostro parere in un accumulo smisurato di kitsch, in un sovraccaricare la scena di ‘televisione’, con il conseguente rischio di ridondanza e cadute di stile. Nulla togliere ai due attori-autori, che dimostrano come sempre un talento raro per i tempi comici, una sintonia senza pari e quel tocco inconfondibile di non–sense e leggerezza che li rende unici. Il teatro ha bisogno di molto meno e, con meno dispendio di mezzi, crediamo si sarebbe raggiunto un risultato ancora migliore.

Francesca Montanino