“Se solo sapessi dove si trova mio figlio Albion, se solo potessi dargli sepoltura e portare un fiore sulla sua tomba, mi sentirei meglio”. Parole di Nesrete Kummova, il cui figlio dovrebbe essere stato trasportato dal Kossovo in Serbia e lì sepolto, nella guerra del 1999.
Oltre 14.000 persone mancano all’appello nei paesi dell’ex Jugoslavia, quasi la metà del totale degli scomparsi del decennio di guerre iniziato nel 1991. Lo denuncia un rapporto di Amnesty International, diffuso alla vigilia della Giornata internazionale degli scomparsi, che si celebra ogni anno il 30 agosto.
Tra il 1991 e il 2001, secondo tale rapporto, 34.700 persone scomparvero nei Balcani dopo essere state arrestate o catturate. La maggior parte delle loro famiglie aspetta ancora giustizia.
“Per loro, il capitolo delle sparizioni forzate non è chiuso e rimane una fonte quotidiana di dolore. Attendono ancora di conoscere il destino dei loro cari, continuano a cercare verità, giustizia e riparazione”, ha dichiarato Jezerca Tigani, vicedirettrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
“Le vittime delle sparizioni forzate nei paesi dell’ex Jugoslavia appartengono a tutti i gruppi etnici. Sono civili e soldati, donne e uomini, bambine e bambini. Le loro famiglie hanno il diritto di sapere la verità sulle circostanze della loro scomparsa, sul loro destino e sullo svolgimento e l’esito delle indagini. Per loro, il primo passo verso la giustizia è vedersi restituiti i corpi dei loro cari per la sepoltura. I governi devono assicurare che le vittime e le loro famiglie abbiano accesso alla giustizia e ricevano, senza ulteriori ritardi, un’adeguata e concreta riparazione per il danno che hanno subito” ha aggiunto Tigani.
Il rapporto di Amnesty International descrive casi di sparizione forzata in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kossovo. Tutti e sei i governi di questi paesi, denuncia Amnesty, sono venuti meno all’obbligo legale internazionale di indagare e punire questi reati.
Alcuni responsabili, sottolinea Amnesty International, sono stati sottoposti alla giustizia del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, il cui mandato è però prossimo alla fine. I tribunali nazionali agiscono con lentezza.
“L’assenza di indagini e processi per le sparizioni forzate e i rapimenti resta un problema grave in tutti i Balcani. Il principale ostacolo al contrasto dell’impunità e alla consegna degli autori alla giustizia è la costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i paesi” ha affermato Tigani.
Delle 6406 persone scomparse nella guerra del 1991-1995 in Croazia, sempre secondo il rapporto di Amnesty,è stato possibile stabilire la sorte di 4084 di esse. Oltre 2300, 1735 delle quali di passaporto croato, risultano ancora scomparse. Nell’ultimo biennio è stata chiarita la situazione di soli 215 scomparsi. Oltre 900 resti umani devono essere ancora identificati.
Su una popolazione di tre milioni e 400mila abitanti, alla fine del conflitto della Bosnia ed Erzegovina erano scomparse 30.000 persone. La sorte di almeno 10.500 di loro, in larga parte musulmani bosniaci, resta sconosciuta. Le famiglie di oltre 7000 persone, deliberatamente e arbitrariamente uccise nel genocidio di Srebrenica del 1995, sono ancora in attesa di giustizia e riparazione. Molti dei presunti responsabili vivono fianco a fianco con le loro vittime e i familiari di queste ultime.
“Per un decennio – denuncia Amnesty – dalla fine del conflitto del 2001 tra le forze di sicurezza macedoni e l’Esercito albanese di liberazione nazionale, le autorità non hanno indagato in modo efficace sulle sparizioni forzate. Resta un mistero il destino di almeno sei albanesi arrestati dalla polizia alle dipendenze del ministero dell’Interno macedone. I familiari degli scomparsi hanno fatto ricorso contro una legge del parlamento macedone del 2011 che, estendendo le norme della legge d’amnistia del 2002, ha posto fine alle indagini su quattro casi di crimini di guerra trasmessi dal Tribunale penale per l’ex Jugoslavia. Tra questi, la sparizione di 12 macedoni e un bulgaro, presumibilmente ad opera dell’Esercito albanese di liberazione nazionale.
Nel maggio 1992, 83 civili bosniaci in fuga dal conflitto della Bosnia ed Erzegovina, vennero arrestati in Montenegro e respinti alla frontiera per essere poi consegnati alle forze serbo bosniache. Si ritiene che 21 di loro siano stati uccisi in un campo di prigionia della Republika Srpska. La sorte di almeno altri 34 detenuti rimane sconosciuta. Nel marzo 2011, nove ex pubblici ufficiali sono stati prosciolti dall’accusa di crimini di guerra per la sparizione forzata dei profughi bosniaci, sul presupposto che nel 1992 non c’era alcun conflitto armato in Montenegro. Il verdetto è stato annullato in appello quest’anno e il processo è stato riaperto.
Durante la guerra del Kossovo del 1998-99 e nel periodo immediatamente successivo, si registrarono 3600 scomparsi, oltre 3000 dei quali albanesi vittime di sparizione forzata ad opera della polizia, dell’esercito e dei gruppi paramilitari serbi; la restante parte degli scomparsi, appartenente alle minoranze, soprattutto quella serba e quella rom, si presume sia stata catturata dai gruppi armati albanesi, tra cui l’Esercito di liberazione del Kossovo. Le famiglie di almeno 1797 scomparsi kossovari e serbi aspettano ancora che i corpi dei loro cari siano esumati, identificati e restituiti per la sepoltura. Anche quando ciò avviene, pochi dei responsabili vengono portati di fronte alla giustizia”.