E se la violenza si presentasse sotto forma di malattia cronica, dolorosa, invalidante e i medici ti trattassero da isterica ed esaurita, oppure peggio ignorassero quello che gli racconti? E se per avere una diagnosi precisa della malattia, dopo che ti hanno detto che sei stressata, stanca e che sei esagerata, si debbano attendere tra i 7 e 9 anni, possiamo definire anche questa una violenza? E se il tuo desiderio di diventare madre venga a trovarsi tragicamente, improvvisamente di fronte ad una malattia che invece ha lavorato in silenzio e ti ha occluso le tube, ha creato aderenze, sconvolto e distorto i tuoi organi riproduttivi e chi ti sta intorno ti consola con un “E’ la volontà di Dio”? E se per avere un figlio devi spendere tra i 10.000 e i 20.000 euro andando in terra straniera perchè a casa tua hai una legge che violenta quotidianamente le donne (dicasi legge 40/2004)?E se in pochi anni subisci dai due ai tre interventi in anestesia generale perchè la malattia si è riformata e magari il medico non ha operato in modo degno, si può definire violenza anche questa? Questa violenza che colpisce circa 3 milioni di donne in età fertile in Italia ha un nome, ENDOMETRIOSI un nome che quando nella maggior parte dei casi lo pronunci ti dicono: Endo…che?? Ecco, questo sentirsi dire endo…che?, è la violenza più grande nonostante tu abbia già fatto decine di visite ginecologiche, decine di volte hai raccontato le tue sofferenze, decine di volte hai pianto e pregato che i dolori passassero, ma quell’endo che?, ti riporta sempre e soltanto a sentirti sola e con un grande senso di smarrimento. La tua autostima, i tuoi rapporti sociali, la tua vita di coppia, il lavoro va in rovina a causa sua, dell’endometriosi che si è intrufolata nella tua vita e si è fatta immediatamente viva con dolori al ciclo mestruale sempre più forti, dolori all’ovulazione che ti piegano in due, dolore ai rapporti sessuali che preghi solo che finisca in fretta e con un dolore lancinante nel cuore perchè ti hanno appena detto che a causa dell’ENDOMETRIOSI, non potrai avere figli. Lei però è violenta e tenera come nessun’altra malattia perchè con tutte noi si è comportata in modo diverso: c’è chi non ha quasi mai dolore, chi dopo un intervento di pulizia ottimale (quando trovi il chirurgo competente) è riuscita ad avere un bambino anche due e chi invece con terapia ormonale continua (estroprogestinici) riesce a condurre una buona qualità di vita. C’è chi invece ha subito dei danni permanenti come una resezione intestinale, la perdita di un rene o lo strazio del vivere 6/8 mesi con un ano artificiale (il cosiddetto sacchetto); chi invece deve fare i conti con un danno chirurgico permanente come la vescica neurologica ovvero non sentire e avere più la capacità di urinare spontaneamente e quindi doversi autocateterizzare. E questo senza che si possa rientrare in una categoria protetta per le esenzioni o per il lavoro… niente di niente! L’ENDOMETRIOSI di fatto non esiste e se ce l’hai e in sala operatoria hanno sbagliato pazienza, ti tieni le infezioni batteriche e vai avanti e cerchi almeno di attivarti per aiutare altre donne. Ora io mi rivolgo a tutti quelli che leggeranno questo articolo e mi rivolgo in particolare alle giornaliste: ritenete giusto che in Italia nel 2009, l’ENDOMETRIOSI (dopo quello che ho raccontato, che è solo una piccola parte) non sia ancora stata riconosciuta malattia cronica? E che nonostante gli sforzi di tre parlamentari donne (Bianconi, Bianchi, Zanotti) e l’impegno delle associazioni di pazienti, non sia ancora stata approvata la legge che riconosca alle donne affette da endometriosi la possibilità di ottenere l’esenzione del ticket per le ingenti spese farmaceutiche sostenute? Le donne con endometriosi sintomatica sono circa il 65% del totale delle pazienti e purtroppo per chi lavora nel privato, ma anche nel pubblico, l’assentarsi per malattia almeno tre giorni al mese o diverse settimane a causa degli interventi chirurgici, il rischio licenziamento o mobbing è dietro l’angolo. L’ignoranza e il silenzio complice di una parte della classe medica, fa si che le donne con ENDOMETRIOSI si ritrovino a doversi battere con un mostro che le divora all’interno e con i mass media che snobbano o relegano in quart’ultima pagina le notizie relative agli eventi organizzati dalle associazioni di pazienti. I mass media che dovrebbero fare su larga scala quanto noi cerchiamo combattivamente di fare: informare per prevenire! Per una malattia per la quale non e’ possibile fare prevenzione, l’unico modo di arginare i danni procurati dalla malattia, e’ informare. Informare le ragazzine di 20 anni che non è normale soffrire durante il ciclo, che non è normale fare l’amore e avere dolore nel retto o sotto la pancia, che non è normale avere continuamente la cistite o il colon irritabile. Una donna forte e coraggiosa ha voluto raccontare la sua vita con l’endometriosi, con le difficoltà legate alla fecondazione assistita e il suo viaggio “della speranza” in Austria. Una donna che sostiene ed è parte attiva dell’Associazione Progetto Endometriosi A.P.E. Onlus e che ha fatto della sua esperienza un libro dal titolo forte ma significativo: “CANTO XXXV – INFERNO – DONNE AFFETTE DA ENDOMETRIOSI” edizioni Mammeonline. Veronica Prampolini, l’autrice, è una giovane donna di Reggio Emilia che con rabbia e caparbietà vuole, attraverso il suo libro, far puntare i riflettori su una malattia che coinvolge 3 milioni di giovani donne in Italia. Giovani donne che non possono esprimere al meglio e in pieno la propria capacità lavorativa e personale. Veronica ha anche creato un sito internet: www.donneaffettedaendometriosi e un blogwww.veronicaprampolini.it nel quale sono raccolti numerose testimonianze e ringraziamenti per il suo impegno. A fianco di Veronica c’è l’A.P.E. Onlus associazione di pazienti a carattere nazionale con sede a Reggio Emilia che fa del fare informazione sulla malattia, la priorità assoluta. Alle signore giornaliste chiedo semplicemente che sia fatta informazione corretta ed esauriente e che non si sottovaluti il problema per l’ennesima volta! Siamo stufe di sentirci classificate come malate di serie “C”, le malattie non hanno codici e 3 milioni di giovani donne in Italia hanno diritto a ricevere attenzione e ascolto e spero di ricevere proprio da queste pagine un aiuto in merito. Grazie!
Marisa di Mizio – Presidente Ape Onlus