Due anni fa il Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio aveva presentato al pubblico uno studio, effettuato su 91 comuni della regione, di cui 60 solo della Tuscia, sulla“Valutazione epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da arsenico nelle acque potabili nelle popolazioni residenti nei comuni del Lazio”. I risultati delle analisi condotte dall’Arpa tra il 2005 e il 2011 sono stati messi a confronto con decessi e malattie registrati nella popolazione. Ne è emerso che laddove i livelli di arsenico sono più elevati è aumentata l’incidenza dei tumori maligni soprattutto al polmone e alla vescica, nonché patologie specifiche come il diabete mellito, l’ipertensione, l’infarto, l’infertilità e, nei bambini, disturbi del comportamento come la sindrome da deficit di attenzione e iperattività e l’autismo. Una situazione molto seria, che ha ottenuto da parte dei nostri politici regionali e provinciali, risposte al limite del “tiepido”. Infatti da quel momento ad oggi poco o nulla di concreto si è fatto nei comuni interessati da questo problema, se non istallare casette di legno che erogano acqua trattata con membrane ad osmosi inversa e che dovrebbero ridurre la percentuale di Arsenico nelle acque sotto i 10 microgrammi/litro. Qualche comune, al vero pochissimi, ha anche realizzato dearsenificatori a livello di quartiere. In tutto questo però il problema non si risolve in quanto a volte non si effettuano i controlli periodici nelle casette che erogano acqua dearsenificata, per cui le membrane filtranti, se non vengono cambiate costantemente, alla fine possono rilasciare quantitativi massicci di arsenico ed altri metalli pesanti all’insaputa degli stessi utenti. I dearsenificatori industriali poi hanno bisogno di una manutenzione che impegna risorse economiche il più delle volte non sostenibili dalle casse dei comuni. Quindi esiste il rischio che tali impianti di potabilizzazione possano fermarsi ed obbligare le autorità locali a chiedere l’aiuto delle autobotti.
Per Accademia Kronos, l’associazione che fu la prima 6 anni fa a sollevare il problema dell’Arsenico e dell’Uranio 238 nelle acque della Tuscia, è pura follia continuare a giocare sulla salute dei cittadini” tra incompetenza e incertezza dei nostri politici. Tutto il viterbese è geologicamente immerso in una realtà geologica legata ad antiche attività vulcaniche per cui tutti i suoi cittadini “beneficiano” di radon, di arsenico e in alcune zone anche di Uranio 238. Pertanto dearsenificatori a membrane ad osmosi inversa o impianti che utilizzano ossidi di ferro capaci di trattenere l’arsenico presente nelle forme As(III) e As(V), servono a poco perché sono solo soluzioni tampone. Per l’associazione serve un’azione decisa e coraggiosa: rinunciare alle acque all’arsenico della Tuscia e utilizzare, attraverso un grande acquedotto, le acque salubri del reatino. A questo scopo Accademia Kronos ha dato mandato a suoi esperti di studiare soluzioni idonee per la realizzazione di un acquedotto che possa servire almeno una parte dei comuni della Tuscia più a rischio contaminazione arsenico, fluoruri e Uranio 238.
A giorni pertanto ci sarà un primo incontro tecnico con idrogeologi, ingegneri ed altri esperti dell’associazione a Rieti per dare il via a questo studio. I risultati e il progetto finale saranno presentati al pubblico nel prossimo autunno.