CIVITAVECCHIA – Una buona partecipazione per l’evento “E’ anche cosa nostra. Le mani delle mafie sull’Alto Lazio” organizzato dall’associazione Caponnetto, dall’ANPI Civitavecchia, dalla “Voce delle voci” e dal nostro giornale Centumcellae News. Ha moderato il direttore Marco Galice che ha aperto i lavori, entrando subito in medias res col ricordo che ancora brucia a questo territorio della “vicenda Canale”, sconosciuto imprenditore giunto dal Sud a Civitavecchia e subito nominato dall’allora Sindaco De Sio Delegato alla costa prima di patteggiare poi una condanna a seguito dell’indagine condotta dalla Dia su una serie di appalti truccati.
Ad aprire gli interventi il presidente dell’ associazione Caponnetto Elvio Di Cesare che ha ricordato la lotta decennale della sua organizzazione. “Voi vedete qua gente che combatte in prima linea la mafia e il malaffare. Non parolai.” E in un accorato intervento ha ripercorso alcuni dei momenti più importanti della lotta condotta dalla Caponnetto ricordando la sfida più difficile: “La mafia si combatte a Roma perché la mafia é nel palazzo!”. L’analisi è poi passata al nostro territorio: “La situazione nell’alto Lazio é drammatica, eppure ci sono Prefetti che sottovalutano il nostro allarme”.
Successivamente ha preso la parola, sempre a nome della Caponetto, Simona Ricotti, che ha formulato un messaggio di solidarietà verso il tribunale di Civitavecchia a rischio chiusura e verso la Dia, soggetta a tagli sempre più drastici che rischiano di sancirne l’impotenza. La Ricotti ha ricordato che “il nostro evento si chiama ‘é anche cosa nostra’ perché purtroppo qua non ci accorgiamo che la nostra economia muore sotto i colpi delle mafie, che il nostro territorio soffre sempre di più la lotta contro il malaffare; purtroppo interpretiamo segnali allarmanti come normali. Dettati dalla crisi, senza accorgersi di dove stiamo scivolando”. Secondo la Ricotti “nella nostra città le regole si infrangono costantemente. Le regole non esistono più. Pensate a tutte le grandi opere sotto sequestro, pensate all’ allarme della dott.ssa Di Martino che parlava di saldature della mafia nel porto di Civitavecchia: perché la politica e le istituzioni non sentono il bisogno di dire nulla?”
Molto interessante anche il contributo della Dott.ssa Antonietta Troncone, Procuratore aggiunto di Nola che ha spiegato come “la mafia ormai non ha più una dimensione territoriale regionale” e tenda a creare dei sistemi economici autosufficienti: “L’enorme massa di ricchezza prodotta dalla criminalità – ha spiegato – innesca un circolo vizioso per il suo mantenimento”. Secondo la Troncone “il Lazio ha rappresentato uno snodo importante per tutte le mafie. Vi riscontriamo infiltrazioni di ogni tipo, questo è un dato storico: basta pensare alla banda della Magliana che ha inizialmente fornito le risorse per l’attecchimento e in seguito svolto un ruolo di raccordo ed importazione per le altre mafie”. Il procuratore ha lanciato un serio allarme, invitando a tenere la guardia ancora più alta: “Ultimamente c’é stato un innalzamento del sistema criminale ed un imbarbarimento dovuto alla rottura di alcuno equilibri questo ha reso visibile una situazione che però era preesistente”.
Toccante subito dopo l’intervento di Ferdinando Imposimato, Presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione, istruttore, tra gli altri, dei processi a Michele Sindona e alla Banda della Magliana, che ha ripercorso parti della sua lunghissima storia di barriera contro la mafia in ogni sua forma, dall’introduzione del “41 bis, che serviva a impedire che i mafiosi da dietro le sbarre continuassero ad ordinare stragi e a far fuori i magistrati” alle conferenze in giro per l’Italia “dove ho riscontrato la tendenza a negare la mafia: questa è un arma che noi consegniamo ai mafiosi! Non bisogna negare la mafia. Bisogna cambiare approccio culturale. Non serve cambiare le norme o inasprire le pene, è un fatto di uomini, se chi amministra è colluso o è corrotto”. Il teorema di Imposimato è lo stesso di Falcone e Borsellino ed è ancora tristemente attuale dopo anni: “cos’era la banda della Magliana se non la mafia che arrivava a Roma e saldava il suo potere col palazzo, con Andreotti, con Berlusconi.. ecco, ora magari mi denunceranno, speriamo che mi diano almeno i domiciliari” ha detto tra l’ovazione generale della platea.
Rita Pennarola, codirettrice della Voce delle Voci ha invece raccontato la sua esperienza di giornalista d’inchiesta e la difficoltà ad indagare nei rapporti tra mafia e potere, soprattutto quando, salendo verso nord, la stessa giustizia fatica a pronunciare la parola mafia. Invece la realtà è ben diversa: “Nel sud del Lazio la vicinanza geografica con le zone di influenza dei casalesi ha permesso infiltrazioni massicce già tempo fa, ma non c’è voluto molto perché la lunga mano delle cosche toccasse anche il litorale nord. Il territorio di Civitavecchia presenta elementi di criticità. Dal porto ai grandi insediamenti energetici”.
Infine Daniele Camilli, autore del libro “La mafia a Viterbo”, ha parlato delle relazioni tra “la zona tra Civitavecchia e Viterbo, dove le testimonianze di infiltrazioni sono molteplici. Sottovalutate fino a poco tempo fa”, ma i punti in comune sono molteplici e drammatici, soprattutto dal punto di vista della labilità delle regole, in campo urbanistico. Camilli citava Cura di Vetralla, trasformata da rione a quartierone degno della periferia di Roma, ma il pensiero correva alle nostrane opere sotto sequestro. L’autore ha lanciato il suo personale appello a “contrastare fermamente l’irregolarità amministrativa.”
Unanime il coro degli interventi dei relatori e dei numerosi interventi e delle numerose testimonianze anche drammatiche (come di un imprenditore a cui è stato distrutto il parco mezzi) alla lotta civile contro il malaffare, perché se l’istituzione latita, o tace o è colluso; allora associarsi, resistere, denunciare, diventa un dovere.