Amnesty International ha sollecitato le autorità del Kazakistan a rilasciare i giornalisti e gli attivisti arrestati arbitrariamente solo per aver seguito le proteste di massa della settimana scorsa, a fornire informazioni sulla sorte di tutte le persone arrestate durante le manifestazioni – quasi 10.000 secondo fonti ufficiali – e ad assicurare il rispetto dei diritti umani dei detenuti.
L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto il rilascio anche di coloro che sono stati arrestati unicamente per aver violato la legge estremamente restrittiva sui raduni pubblici e ha invitato il governo kazako a ordinare indagini efficaci e imparziali su tutte le denunce di violazioni dei diritti umani, compreso l’uso letale della forza, e a rispettare i diritti umani nell’attuale periodo di instabilità.
Il numero esatto delle vittime della violenza degli ultimi giorni resta incerto. Le autorità hanno confermato la morte di almeno 18 agenti delle forze di sicurezza ma non hanno fornito dati sulle vittime civili. Il 9 gennaio un canale Telegram associato al governo ha parlato di 164 morti tra i manifestanti ma è poi stato smentito dal ministero della Sanità.
Nei primi cinque giorni di proteste, le autorità hanno disabilitato gli accessi a Internet e limitato le comunicazioni di telefonia mobile, salvo dare la colpa delle proteste ai difensori e attivisti dei diritti umani e arrestare giornalisti indipendenti.
Il 5 gennaio due giornalisti dell’emittente radiofonica Azattyk, partner di Radio Free Europe / Radio Liberty, sono stati arrestati e interrogati sulle loro attività durante le proteste. Il 7 gennaio Lykpan Akhmedyarov, direttore del quotidiano Uralskaya Nedelya, è stato condannato a dieci giorni di carcere per violazione della legge sui raduni pubblici. Il 10 gennaio il portale indipendente Fergana.ru è stato costretto a rimuovere un articolo dietro la minaccia di un procedimento penale.
Vi sono notizie di giornalisti stranieri a cui è stato vietato l’ingresso nel paese. Il 10 gennaio Internet è stato ripristinato ma le autorità continuano a bloccare l’accesso alla rete. I servizi di messaggistica rimangono inutilizzabili a livello locale.
L’11 gennaio il ministro dell’Interno ha dichiarato che il numero dei manifestanti arrestati era arrivato a quasi 10.000 e che erano state aperte oltre 400 indagini. Secondo il procuratore generale, la maggior parte di queste indagini riguarda episodi di violenza, anche mortali. Tuttavia, in alcuni dei casi noti ad Amnesty International, l’imputazione è di “incitamento alla discordia sociale”, un’espressione molto vaga usata per criminalizzare il dissenso pacifico.
Una delle indagini riguarda Artyom Sochnev, un ambientalista arrestato il 4 gennaio a Stepnogorsk mentre manifestava da solo in strada.
Sulla base della legislazione sui raduni pubblici, che di fatto vieta ogni protesta se non espressamente permessa dalle autorità locali, migliaia di kazaki che nei giorni scorsi hanno preso parte alle manifestazioni rischiano ora multe o condanne a 15 giorni di carcere.
Di alcune delle persone arrestate non si hanno più notizie, come nel caso del giornalista Makhambet Abzhan, scomparso dal 6 gennaio.
La repressione ha colpito anche gli avvocati che dovrebbero difendere i manifestanti arrestati: Yubzal Kuspan è in carcere da dieci giorni solo per aver partecipato a una protesta pacifica.
I rischi di maltrattamenti e torture nei confronti degli arrestati è esemplificato dal caso di Vikram Ruzakhynov, un musicista jazz del vicino stato del Kirghizistan che era in tournée in Kazakistan. Il 9 gennaio la tv di stato kazaka ha trasmesso le immagini di Ruzakhynov che, interrogato pieno di lividi, “confessava” di essere stato reclutato da “stranieri” per partecipare a una protesta in cambio di denaro. Il giorno dopo, a seguito delle proteste del governo kirghizo, il musicista è stato rilasciato.