CIVITAVECCHIA – Direttamente dalla Germania, teatro in questi giorni di un nuovo drammatico atto di terrorismo, arriva per la rubrica “Cervelli in fuga” la testimonianza di un’altra giovane civitavecchiese che ha abbandonato l’Italia per ragioni professionali. Si tratta di Martina Corsini, infermiera professionale che vive e lavora a Francoforte.
Da quanto tempo ti sei trasferita? Perché hai deciso di lasciare Civitavecchia e l’Italia?
“Mi sono trasferita in Germania da circa un anno, in un primo momento sono andata per due mesi in una piccola città a nord della Germania, dopodiché la mia azienda mi ha collocato a Francoforte. Ho deciso di lasciare l’Italia, perché ho visto che nonostante mi sia laureata ad Aprile, molti colleghi laureati dopo di me, sono riusciti ad ottenere una posizione, negli stessi posti dove io avevo già consegnato il curriculum molto prima. Ovviamente non è una novità che in Italia si vada avanti tramite ‘Nepotismo’. Un altro motivo che mi ha spinto a lasciare la mia città e la mia amata patria è stato sentimentale: io e il mio fidanzato pratichiamo la stessa professione e purtroppo in Italia non è permesso in molti posti (ad eccezione di vincita di concorso da parte di entrambi) lavorare insieme”.
Di cosa ti occupi attualmente?
“Sono un’infermiera professionale (in tedesco Gesundheit und Krankenpflegerin) e lavoro presso un azienda che ha diverse Case di Cura e Riabilitazione sparse per tutta la Germania. Ho scelto come prima opzione una Casa di Cura, poiché volevo avere modo di rapportarmi con pazienti stabili in modo da fare più esercizio con la lingua”.
È stato facile ambientarti e come lo hai fatto?
“Ambientarmi non è stato facile per niente. Non ero mai stata lontana da casa prima d’ora e i primi giorni sono stati veramente terribili. Tornavo a casa dopo il lavoro e piangevo, perché mi mancava casa e non mi piaceva l’ambiente in cui mi trovavo, ma fortunatamente essendo in due, il problema nell’inserimento è stato meno traumatico. L’uno dava la forza all’altro. Inoltre insieme a noi, c’era un altro collega italiano, e quindi ci consolavamo a vicenda”.
Hai avuto problemi con la lingua?
“All’inizio è stato molto difficile, riuscivo a capire molto poco. Il tedesco è una lingua molto ostica. Con molta umiltà però, dicevo a miei colleghi che dovevano spiegarmi le cose in modo più semplice e non parlami troppo velocemente e devo dire che in questo sono stati molto disponibili”.
Quali differenze hai riscontrato tra il sistema lavorativo della Germania e quello italiano?
“Prima di tutto, in Germania non c’è bisogno della laurea per fare l’infermiera. Ci sono due tipi di formazione: Altenpfleger (Cura degli anziani) e Krankenpfleger (Cura dei malati). La prima si occupa della formazione di infermieri destinati alle case di cura e riabilitazione con un corso che ha la durata di due anni, mentre la seconda si occupa di Infermieri che sono più specializzati nel lavoro all’interno degli ospedali. Un Altenpfleger, per esempio non potrà lavorare in Ospedale, mentre un Krankenpfleger in una casa di cura si. Nel 2017, però, questa formazione diventerà unica. Posso anche dire che l’infermiere tedesco è rimasto più indietro rispetto al cosiddetto mansionario dell’infermiere italiano. Purtroppo molte cose non ci vengono permesse, se non con corsi abilitativi che ci permettono di diventare ‘infermieri specializzati’. Qui c’è molta richiesta, soprattutto di infermieri italiani, perché siamo secondo loro i migliori in Europa”.
Più in generale, che differenze ci sono tra la società e la mentalità tedesche e quelle dell’Italia?
“Ovviamente, ogni paese è a sé. È normale che ci siano differenze sia per quanto riguarda la società e la mentalità. I tedeschi sono tendenzialmente molto chiusi di natura caratteriale. Ma ovviamente c’è sempre l’eccezione alla regola. Molti tedeschi si sono abituati alla situazione odierna di immigrazione. Altri invece sono ancora molto restii. Fortunatamente dove lavoro non ci sono molti problemi. Siamo quasi tutti stranieri e quindi ci aiutiamo molto a vicenda”.
Qual è la considerazione che i tedeschi hanno per gli italiani? Resiste lo stereotipo “pizza e mandolino” oppure è ormai un luogo comune? E qual è l’atmosfera che si respira in Germania nei confronti degli stranieri con contestualmente a questa fortissima ondata di immigrazione?
“Come ho già detto molti sono restii a questa situazione. Tanti ancora dicono: ‘Italiani mafia’, altri invece si sono già abituati alla situazione e si dimostrano molto disponibili”.
Ogni quanto torni a casa? E che idea ti sei fatta di Civitavecchia quando la rivedi a distanza di tempo?
“Appena ho qualche giorno di ferie colgo l’occasione per tornare a casa. Quando torno a Civitavecchia sono molto malinconica e amareggiata. Sapere che la maggior parte dei compagni con cui sono cresciuta si trovano in situazioni simili alla mia mi rattrista molto. Infatti quando torno vengo sempre a sapere che molti miei coetanei si trovano all’estero per lavorare e penso che forse vale la pena rimanere qua”.
I “cervelli” italiani sono davvero destinati a fuggire? Insomma, l’Italia non è un Paese per intelligenze come te?
“I cervelli italiani sono quasi tutti destinati a fuggire, e chi rimane ovviamente ha le sue motivazioni. All’estero ci sono opportunità di lavoro maggiori rispetto all’Italia. E le persone come me che sono stufe di situazioni del genere scappano ovviamente in posti migliori. Posto migliore ovviamente è un posto dove c’è la possibilità di costruirsi un futuro. La Germania non è una miniera d’oro, ma si può vivere una vita decente e indipendente”.
Hai in programma di tornare prima o poi a lavorare in Italia, oppure la tua vita ormai è in Germania o comunque lontano dal Belpaese?
“Mi piacerebbe molto tornare in Italia. Spero che un giorno la situazione economica cambi e dia la possibilità a chi si trova all’estero, di tornare a casa. Molte persone non riescono ad abituarsi anche dopo 50 anni all’estero, penso di non essere una di quelle. La speranza però è sempre l’ultima a morire”.