CIVITAVECCHIA – Una data tragica, che portò morte e distruzione in uno dei gioielli più preziosi del mare Tirreno.
Ma per Civitavecchia fu anche distruzione delle coscienze, del senso di appartenenza, del piacere e dell’orgoglio di essere una comunità con la propria tradizione millenaria di accoglienza, con la propria splendida vocazione marinara.
Mai più recuperati.
Si rincorrono negli ultimi tempi le rievocazioni dei professionisti della memoria, alcune davvero molto belle, altre davvero molto meno, dove l’asettica ricostruzione cronologica prende spesso aridamente il sopravvento sulla reale riflessione di quello che fu il sentire dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri concittadini, nel vivere quella devastazione senza fine, senza difesa.
Ricordi familiari, delle ore disperate impiegate per coprire il breve tragitto tra un porto che non c’era più e la vicina piazza Leandra, per scoprire se ancora esisteva una famiglia, mentre tutto intorno si apriva l’orrendo spettacolo delle vite spezzate, dei crolli, dell’annientamento di un quotidiano vissuto fino a poche ore prima.
Racconti riportati con la stessa emozione di quel giorno, che ogni 14 maggio rivediamo negli occhi di chi, oggi anziano, non può cancellare quei segni indelebili.
Come sempre, lo scorso anno ero presente alla commemorazione dei caduti del bombardamento di fronte alla lapide di Via Mazzini, per l’occasione liberata (ma solo per poche ore!) dall’oltraggio delle auto parcheggiate che ne nascondono la vista.
Ho partecipato alla commozione di raccogliere alcune testimonianze struggenti, nella loro semplicità, di chi aveva direttamente vissuto quei terribili momenti.
Ho assistito alla estraneità delle campane della chiesa lanciate in un rumoroso “concerto” proprio mentre il primo cittadino, il massimo rappresentante della comunità ferita che omaggiava le proprie vittime, pronunciava il suo discorso, coprendo ovviamente ogni parola.
Ecco, credo che in questo paradosso si possa esattamente raffigurare il quadro della cancellazione della memoria di una città, della incapacità di creare e diffondere un adeguato sentire comune, di mantenere un filo conduttore tra generazioni e con la nostra storia.
Spero e mi auguro che quest’anno l’organizzazione delle cerimonie istituzionali trovi maggiore conforto organizzativo e le campane riescano almeno a suonare a cerimonia terminata, possibilmente non a festa.
Ma spero anche e mi auguro, nonostante tutto, che la insensibilità e la totale mancanza di rispetto di mortificare la lapide con i nomi dei nostri caduti, dietro un parcheggio e nascosta da degrado e sporcizia, trovi finalmente soluzione: il parcheggio va spostato e quella zona riqualificata, conferendo a quel luogo il giusto significato di quanto rappresenta.
Richiesta che continuerà a cadere nel vuoto, finchè non saremo capaci di recuperare quel senso di comunità e di appartenenza alla nostra storia di cui parlavo sopra.
In un momento in cui sugli equilibri dell’intero pianeta pesa l’ipoteca di conflitti nuovi e vecchi, che mietono vittime innocenti, sia questa l’occasione per richiamare ai valori della pace e della civile convivenza tra i popoli.
Onore ai nostri caduti. Mai più guerre.
Lucia Bartolini