CIVITAVECCHIA – Sembra incredibile che in questa città per la ristrutturazione del mercato siano stati necessari quattro anni, e che per di più non sia dato di vederne la fine.
E dire che il mercato – in quanto sistema economico integrato – ha sempre rappresentato un vero e proprio volano per lo sviluppo socio economico della comunità, la cui disgregazione sta comportando danni gravissimi agli stessi operatori e a tutto il sistema economico cittadino.
Ma questo è il livello di attenzione che la politica tutta ha sempre avuto nei confronti delle imprese, che invece dovrebbero trovare piena cittadinanza per costruire business, occupazione, ricchezza.
Quella che è sempre mancata è una politica organica per il commercio, un’adeguata e coerente politica di programmazione urbanistica delle attività commerciali, capace di rigenerare e qualificare le condizioni di vita sociale ed economica della città.
Politica miope e assurda se si guardano i dati occupazionali e di formazione del Pil cittadino, che vive quasi esclusivamente di porto, commercio e turismo.
Su quest’ultimo si scontano decenni di vani bla bla elettorali, di incapacità politica di dialogo tra amministrazioni comunale e autorità portuale, dovuta a differenti coloriture politiche.
Era stato avviato un protocollo di intesa che aveva riacceso speranze, ma ad oggi il livello di polemiche fa sì che nemmeno quei punti su cui si erano trovati accordi possano essere concretizzati.
Ci troviamo – a un passo da Expo 2015 e da un giubileo che vedrà milioni di turisti riversarsi nella nostra città – senza un progetto adeguato per intercettare e far rimanere nel territorio il valore aggiunto che andrà a determinarsi, con una stazione indecente, una città sporca, una mobilità pubblica da terzo mondo, un arredo urbano fatiscente, mentre ancora non si è conclusa la questione dei dehors.
Se Civitavecchia perde queste prossime opportunità significherà che la politica ha di nuovo fallito, rivelandosi incapace di dare risposte serie alla città, alle imprese e alle migliaia di giovani disoccupati.
Tullio Nunzi